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piòlo, s.m.: pezzo di legno “piantato per terra”, forse derivato per aferesi dal lat. tardo “epiùrum” = “piolo di legno” colleg. col gr. “péirein” (DISC) = “infilzare” (DELI). Infatti a Fuc. esisteva nel secondo dopoguerra un gioco chiamato con tale nome perché veniva praticato, specialmente nell’attuale Piazza XX Settembre, infilzando anche una parte del manico di scopa (chiamato in tal modo forse perché veniva appuntito) nella terra motosa così come facevano tutti i giocatori: riportava la vittoria chi riusciva a mantenere il proprio piolo conficcato nella mota senza farlo abbattere da quello degli avversari

piovanello, s.m.: “Calidris ferruginea”: C. Romanelli, sec. cui è un t. “tipicamente toscano” forse derivato da pioggia perché questi uccelli sono considerati “più abbondanti nelle giornate piovose”. Si tenga presente che la pioggia nel Duecento era chiamata “piova” e che esiste l’acqua “piovana”, almeno un tempo ambìta per i fagioli e i fiorentini non sono forse chiamati “mangiafagioli”?

piovanello piccolo, s.m. con l’agg.: piovanello pancianera (“Calidri alpinea”: C.Romanelli)

piovano, s.m.: pievano. Forse l’alterazione, ormai piuttosto in disuso, è spiegabile per il fatto che il v. “piovere” era più diffuso in generale di “pieve” dove la gente dava molta importanza al tempo, tanto condizionatore dei lavori agricoli, largamente predominanti fino alll’inizio del secolo scorso anche nelle nostre zone, dove imperava la campagna. Si tenga però presente che anche il Villani nel Trecento ha usato il t. “piovano” nel senso di “pievano” (DEI); perciò non escludo che sia un altro il motivo dell’alterazione considerata, per quanto l’ipotesi da me formulata, mi sembra suggestiva

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pinzòlo, s.m.: pinzòchero, che nel nostro vernacolo si sente pronunciato anche e probabilmente più spesso con la doppia –c- forse per una certa forma di disprezzo per chi mostra troppa ostentazione esteriore in certe pratiche religiose anziché un’intima e autentica religiosità. Però “pinzolo” da noi viene detto molto più al femminile prestandosi di più le donne alle pratiche religiose esteriori rispetto ai maschi

pìo, fonosimbolo e perciò “onomatopea della voce dei pulcini e degli uccelli di nido” (DEI), ma la frase “Ha’ detto pio!” significa: “Hai detto nulla!” oppure “Ti par d’aver detto poco?” (in senso ammirativo o invece ironico). In pis. e in livorn. dicono con lo stesso signific.: “Ha’ detto un bao!”, cioè un baco, essere considerato insignificante e perciò anche in questo caso ironicamente: “Hai detto nulla!” seguito il livorn. dal “dé” indicante meraviglia. In pis. dicono anche: “Hai detto Pitèna!” per dire: hai detto nulla!, ma non mi era affatto chiaro da cosa derivasse “Pitèna” rammentato da B. Gianetti, finché non ho saputo, grazie a V.Marchi, che in livorn., esso è un  “nomignolo di donna che ha finito col significare persona di nessun conto”: così è avvenuto il chiarimento anche per ciò che riguarda la coincidenza di significato con la nostra espressione sopra riportata. Ne è ulteriore conferma la notizia riportata da L.Bezzini che in castagnet. “pitena”, vocabolo importato col significato di “due di briscola” finisce  per significare “uomo insignificante, inconcludente, da poco”

piolìo, s.m.: pigolìo, col dileguo della –g- che finisce per non sorprendere se si pensa alla probabile origine, come abbiamo visto, dal lat. “piulare” colleg. con lo spagn. “piular

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pinzimonio, s.m. indicato dal DEI come voce tosc. (oltre che umbra) derivato secondo il DISC da “pinzare” e questo v. probabilm. dal fr. “pincer” = “pizzicare”, come possono fare in qualche modo  sedani e carciofi intinti in una “salsa di pepe, olio e sale”, specialmente se ci vien messo anche l’aceto, un po’come se si trattasse di un matrimonio (in effetti un’unione si realizza) di più condimenti e verdure crude

pinzo, s.m. tosc.: morso d’insetto, deverbale di “pinzare” che, come abbiamo visto, deriva dal fr. “pincer” = “pizzicare” d’orig. espressiva (DEI)

pinzo, agg. tosc.: d’aspetto florido e in carne, come suggerisce anche la frase: “Com’è bella pinza quella signorina!”. Tuttavia, essendo una “forma” aferetica, oltre che contratta del part. pass. di “impinzare”, almeno sec. il DISC, originariamente tale agg. vorrebbe dire individuo che dimostra con l’aspetto di aver mangiato tanto. Invece, sec. P.Fanfani, pinzo deriverebbe dal lat. “pinzus” = “calcato”, detto anche di persona “grassa e soda, quasi che sotto la pelle vi sia stato calcato il grasso per empierla bene”: ipotesi che condivido. Infatti, sec. il De Mauro, significa anche “pieno zeppo, colmo”

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pinguino, s.m. Modo di dire: “C’è i pinguini!”: ci sono i pinguini, cioè è freddo, tenendo presente  dove vivono questi simpatici uccelli inadatti al volo, ma abili nuotatori (De Mauro)

pinòccolo, s.m.: pinolo; voce anche pist., in fondo quasi dotta potendo derivare dal lat. ipot. “pinucula”, dimin. di “pinus” = “pino”, della cui pigna (infiorescenza lignificata a forma di cono: DISC) è il frutto (DEI). Dalle nostre parti può essere detto anche in rifer. a un individuo molto magro, magari nell’ambito del ling. familiare

pinzacchio, s.m. derivato (a parte il suff. “–acchio” col valore “diminutivo”: De Mauro) dall’incrocio di “pinzare” (col signific. di “beccare”: ID) con “pizzo” col signif. di “becco”, avendolo anche quest’uccello “lungo e appuntito” (DEI): frullino (“Lymnocryptes minimus”), chiamato a Fuc., sia pur più raramente, “vuota borse” per la “difficoltà nel colpirlo” (C.Romanelli)

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pinato, agg.: sodo come una “pina” nella loc. “grasso pinato” (DEI) in rifer. a una persona piuttosto pingue, ma soda

pinco, s.m. tosc., “voce poco onesta” sec. P.Fanfani: nome indeterminato di persona, ma significa “nessuno” nella risposta alla domanda “Chi ha’ (hai) visto?”, mentre la prima spiegazione mi è suggerita dal fatto che Pinco Pallino è usato “per indicare una persona qualsiasi, sconosciuta o insignificante” (DISC), provenendo da “pinco” come “membro virile” e “pallino” da “palle” col signific. di “testicoli” (DEI). A sua volta il signific. di “nessuno” potrebbe derivare dalla svalutazione, già considerata, da parte della Chiesa cattolica, delle parti genitali per la sua rigida posizione, almeno fino a tempi molto recenti, sulla sessualità                                                                                   

pingello, s.m.: doppio grappolo d’uva, come pure possiamo dire “due pigne unite” da un tralcio di vite, ma è un t. piuttosto in declino

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pìmperi, s.m.: “pene dei bambini”: il t. è caduto in disuso, per quanto “pimperi in calzoni” venisse detto almeno prima del ‘900 in riferim. a un bambino a cui “si mettevano i calzoncini per la prima volta” (DEI) e una traccia per così dire di archeologia linguistica, ma non remota, del t. può essere fornita dal soprannome fucecch. “Pimperi”

pina, s.f.tosc.: pigna (e non dell’uva nel qualcaso bisognerebbe dire “grappolo”), in ling. bot. “strobilo”

pinaiolo, s.m.: boleto granuloso ( “Boletus” o “Suillus granulatus”), ma quel fungo di dimensioni maggiori o comunque più “cicciuto”, che da noi è chimato “doppio”, è il “Suillus bellinii”

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pìllora, s.f.: “ciòttolo grosso di fiume” nei vernacoli pis., lucch. e pist. “pilloro”, mentre sec.il DEI sarebbe una voce fiorentina

piluccà’, v.tr.: piluccare nel senso di prendere qua e là cose di scarso valore “a ufo”, cioè senza pagare e questo non suscita certo simpatia in chi vede far ciò senza alcuna necessità. Invece nel Pisano si trova “Peluccare” al posto di piluccare, come diciamo noi, nel senso di “strappare con le mani pezzetti di pane” (C.Giani)

pilustrello, s.m.: pipistrello, ma nei nostri tempi si sente usare molto raramente questa forma corrotta probabilm. per influenza di “pelo”, se non di “pelle”, di cui sono le ali di questo chirottero. Tale infl. Spiega anche la var. “pilistrello”, rara peraltro anch’essa

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pillaccolosa, agg. (“palloccolosa” a Empoli), var. dell’agg. anch’esso tosc., “pillaccheroso” (al m., s’intende): cosparso di “schizzi di fango” o grumi di “sudiciume” attaccati al pelo di pecore o capre (De Mauro) e questo può spiegare perché “farla pillaccolosa” significa farla lunga (in modo proprio fastidioso), tenendo presente, appunto, che la lana degli ovini può essere davvero lunga. Approfondendo ulteriormente l’origine della parola, “pillaccola” è una voce tosc. che indica il “cacherello delle capre e delle pecore” e potrebbe derivare dal lat. “pil(u)la”: “pallottola”, “pìllola”, probabilm. “evoluto” a indicare “cacherello” anche per la contaminazione con “(ca)ccola” = “sudiciume”, donde il signific. visto di “sudiciume delle pecore e delle capre nella lana” (DEI). Non a caso in rifer. a cose sgradevoli esiste la rima scherzosa “càccole e pillàccole”

pillo, s.m.: massa indigesta, come quando viene detto: “Il pasto m’ ha fatto pillo nello stomao”: il pasto mi si è fermato nello stomaco, per cui lo digerisco male un po’ come se fosse una palla o un pestello, appunto sin. di “pillo” (DISC). Infatti M.Catastini registra la voce a “Pillarsi” (a mio parere, non più esistente o in via d’estinzione) col signific. di “raggrumarsi in pallottole”. È inoltre da notare che nel Pisano è chiamato “Pillone” (C.Giani) “il cibo che non vuole scendere nello stomaco”. Invece l’acqua di Pillo, località presso Gambassi e la quale era molto rammentata a Fuc. dicendo, per es., “Ti ci vorrebbe l’acqua di Pillo!” a chi era stitico, risulta che abbia funzioni lassative

pillone, s.m.: manufatto in cemento o comunque di pietra anche serena usato per lavare pure i panni a mano; lavatoio “a forma di vasca rettangolare” (M.Catastini); t. ancora diffuso questo (con l’accresc.) del s. f. tosc. “pilla” (“recipiente di pietra”: DEI), che cambia genere, come avviene per molti accrescitivi, nota il De Mauro, parlando ben più in generale

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pilandróne, s.m.: “scansafatiche, poltrone”, com’ è scritto nel DEI in rifer. a “pelandróne”. Questo t. è possibile che derivi dal piemont. “plandra”, anche “donna sciatta”, più che da“palandrone”: “uomo vestito con palandra” o con la sua var. “pelandra”: “veste lunga da uomo” (ma prima ancora “veste femminile”) “portata in casa in Toscana dalla seconda metà” del Quattrocento e in seguito il t. è stato usato “in senso ironico” da Verga e D’Annunzio (DEI), mentre il suff. “–one” ha in questo caso una “connotazione peggiorativa” (De Mauro). Peraltro la var. vista (usata dalle nostre parti in modo improprio probabilm. anche per la sua origine non certo autoctona, come abbiamo visto) al posto di “pelandrone” è piuttosto in disuso, sostituita da termini per non ben più significativi e perciò espressivi

pillàcchera, s.f. tosc. (DISC): “Schizzo di fango; sudiciume”; al pl. “frange motose”. Invece in Maremma chiamano pillacchere i prodotti di una pianta (M.P. Bini): quella che noi riteniamo sia la bardana o lappa (“Arctium lappa”), dai “fiori rossi in capolini avvolti da brattee uncinate, che facilitano la disseminano” (Diz. bot.). A Empoli veniva detto: “Non la fà’ pillaccherosa!”: non la fare lunga, mentre noi diciamo con lo stesso signific., ma con un’orig. diversa (ved. “pillaccolosa”): “ ‘Un la fà’ pillaccolosa!”.

Approfondendo ulteriorm. il discorso sulla lappa, si chiama anche “lappola”, i cui frutti sono appunto uncini, i quali “si attaccano facilmente alle vesti e al vello degli animali” (DISC). Infatti noi da bambini ci divertivamo a lanciarli per farli attaccare alle maglie dei nostri compagni di gioco

pillaccolona, s.f.: donna “stucca”, difficile, che “la fa lunga”

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pignatta, s.f., a dire il vero, t. poco usato da noi: pentola, ma compare nel proverbio contadino, sia pure poco diffuso: “Pignatta vòta e boccale asciutto guasta il tutto”, cioè senza mangiar e senza bere non si va per niente bene

pila, s.f.: denaro (in gergo: DEI) forse per l’idea dell’accumulo che tale t. può dare 

pilà’, v.intr.: “pigolare” (M.Catastini, che però non tronca la parola come noi facciamo nel parlato non sorvegliato), mentre in lucch. “piulare”, sec. P.Fanfani signific. “lamentarsi ingiustamente”. Infatti il DEI accenna al lucch. “piulare”, praticamente uguale al lat. ipot. “piulare”, d’origine onomatopeica, ma da noi la voce non è più in uso

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