di Giancarlo Carmignani
ner, prep.art. (nel) superflua quando viene detto: “Ner mentre”, bastando quest’ultima congiunzione a rendere il concetto, reso in tal modo più intenso, ma non certo necessario sul piano morfologico
nèsci, s.m.: ignorante (DEI). Forma toscana usata da noi nella loc. “Fare da nesci”: “fare finta di non sapere”; infatti deriva dal lat. “nescire” = “non sapere”, a sua volta da “ne”= “non” + “scire”= “sapere” e ne è un sin. “gnorri” nella loc. risalente al ‘600 “Fare lo gnorri”
nèspolo, s.m. volg.: membro virile forse per l’aspetto della cappella, che può ricordare nella sua parte terminale quello del frutto di tale albero o arbusto (“Mespilus germanica”). Tuttavia si tratta di un termine usato piuttosto scherzosamente e più che altro nell’ambito del linguaggio familiare
nève, s.f.: neve, derivando dal lat. “nive(m)”. Anche questa pronuncia fucecchiese ritengo che si spieghi come quella castagnetana per influsso della pronunzia livornese con la e “assai larga” (L.Bezzini), ma noi ovviamente risentiamo più direttamente della pronunzia pisana, che ha inciso anche su quella livornese per un motivo precisato nell’introduzione
nicchià’, v. intr.: nicchiare, dormire “di fronte a decisioni” (DISC) da prendere, verbo ancora non in in disuso a differenza del significato che aveva di “brontolare”
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