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panzé, s.f.: pansé, di cui è una var. anche locale; sono comunque entrambe forme alterate del fr. “pensée”, propr. “pensata”, perché considerata “simbolo del ricordo” (De Mauro). Infatti è chiamata “viola del pensiero” (“Viola tricolor”). Sono piante coltivate in vaso anche da noi e i loro bei fiori dimostrano notevole capacità di resistenza alla neve, come abbiamo potuto vedere anche dopo la nevicata del 20 dicembre del 2009. Quanto alla –z– al posto della –s– ved. “penzà’ ” e, più in generale, l’introduzione

paolo, s.m.: “moneta d’agento coniata durante il pontificato di Paolo III” (1534-49), ma il nome fu poi “assunto da altre monete di uguale peso” (DISC). Forse da due di queste e dai baiocchi, che ne costituivano una parte, deriva la frase che veniva un tempo usata a Fucecchio per confrontare due persone o due autorità con “gli stessi difetti” (M.Masani): “Son du’ Paoli di trentotto”, come dire che è lo stesso paio di maniche, cui si contrappone nel linguaggio pop.: “È un altro par di maniche”: è “una cosa completamente diversa” (DISC)

papa, s.m. Modo di dire: “Fare papa”: scherzo di cattivo gusto tra ragazzi consistente nello spogliare in parte uno di loro e farlo oggetto di scherno: meno male che esso è venuto meno dopo gli anni ‘50-‘60 e perciò è decaduta anche l’espressione considerata

pappa, s.f.: “alimento tipico della cucina toscana” (DISC), specialmente quella al pomodoro e voce usata anche nella frase: “Fassi mangià’ la pappa in capo”: farsi dominare. Pappa deriva dal lat. “pappa(m)”, voce del linguaggio infantile (DISC), che ha tutta l’aria di essere onomat. proprio anche come tale. È da notare che in Toscana c’era la presenza, non certo fondata scientificamente, che la pappa di pane rendesse belli chi la mangiava. Da noi è diffusa la frase: “In questo ti do pappa e cena”: ora ti sistemo a dovere oppure ne so tanto più di te almeno in questo campo ovvero su questo argomento

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Pantalone, n. della tipica maschera veneziana, ma la risposta “Pantalone!” alla domanda “E ora chi paga?” significa: il solito fesso spesso coincidente con chi ha dato tale risposta. È da notare che il nome Pantalone deriva da quello del patrono della chiesa veneziana di San Pantaleone, e dai calzoni lunghi che portava la stessa maschera della “commedia dell’arte” deriva, tramite il fr. “pantalons”, il s.m. pl. pantaloni: calzoni lunghi alla francese” (DEI)

panténna, s.f.: “massa gelatinosa” (M.Catastini), altrove “minestra soda”, ma propr. “fango”: DEI, sec. cui sarebbe una voce senese e aretina (e ci sono a Fucecchio persone provenienti dalle province di queste due città toscane) nel senso di “pantano”; in lucch. “paltenna” significa “fango molle”, in pis. si troverebbe anche “pantegna” e a S. Miniato “pantennina”. Da noi il t. risulta senz’altro in disuso, per quanto in prov. di Firenze esistano “continuatori toponomastici” sec. lo stesso diz.; infatti il Pieri riporta nomi locali (Pantena e Pantenna) sec. lui derivati da nomi etruschi di persona e l’ipot. “paltinna” avrebbe un suff. etrusco, sec. il DEI su una base mediterranea ipot. “palta” (“pantano”), var. di “balta”, “largamente rappresentata nelle lingue balcaniche”

pantomimma, s.f.: pantomima nel senso di “messinscena”, con la geminaz. della seconda –m– molto probabilmente per influsso fiorentino, penso di poter dedurre dal DEI                                                                                           

panzacchera, s.f.: pesca alle anguille al chiaro di luna, ma è un termine in disuso

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panierino, s.m.dimin. di “paniere” con un significato metaforico nel proverbio: “Se vuoi che l’amicizia si mantenga, un panierino vada e uno venga” (F. Melani): per mantenere l’amicizia è necessario che ci sia un rapporto di reciprocità tra il dare e l’avere

paniàccio, s.m. pane o dolce non ben lievitato, come nella frase: “È diventato un paniaccio”. Penso che derivi da peggiorativo (“-accio”) di “panìco”, dato che un tempo i semi di questa graminacea erano “usati anche nella panificazione” (DIR), ma non è certo un caso che in seguito in Italia si sia ricorsi alla farina di frumento, almeno parlando in generale, per farvi il pane: parola questa, che penso abbia influito sul nostro lemma, come pure che questo corrisponda al napoletano “ammażżaruto”, già menzionato in riferimento al lemma “ammozzolito”

panìo, s.m.: panico, col dileguo della –c– intervocalica, come avviene tente volte nei dialetti della Toscana occidentale e come si manifesta, per es., nella frase: “Come lui t’ha buttato il panio, te hai beccato come un pesce!”: quando lui ti ha teso la rete, ti sei lasciato ingannare come fa un pesce che abbocca all’amo. Si trattavindubbiamente di un linguaggio metaforico in riferimento a una persona provocata in modo da suscitare in lei una certa reazione

panno, s.m. con un significato part. quando si dice, per es., “ ’Un vorrei èsse’ ne’ su’ panni” (o “cenci”): non vorrei ritrovarmi nella sua condizione, situazione, al suo posto. Invece quando si dice: “ E ‘un sta ne’ panni” si vuol dire che non sta alle mosse (ved. “mossa”), cioè che è impaziente “per la contentezza, ma anche per la curiosità” (R.Cantagalli)

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pallino, s.m. importante nel gioco delle bocce, delle boccette e del biliardo, da cui derivano le  espress.: “ ‘Un me ne va una a pallino”: non me ne va una bene, come pure “ ‘Un raccattà pallino”: non prendere il pallino e quindi perdere nel gioco e soccombere, parlando più in generale, in una certa situazione. A Fucecchio indica anche un nome generico di persona, oltre a essere un soprannome di più persone anche in un passato piuttosto recente. Da tener presente la frase: “Casca proprio a pallino”: giunge veramente a proposito come l’espress. pisana “A pippo di ‘occo”, corrispondente al lat. “ad hoc” o, meglio ancora, alla nostra espress. “Neanche a fallo (farlo) apposta!”

pallone, s.m. usato molto da noi anche nel modo di dire “È andato” (e talora ancora in campagna “È ito”) ner pallone!”: s’è molto confuso

pàmpana o, altra var. tosc., pampano: pampino; comunque il primo t. è attestato anche nella letteratura sin dal ‘300 nel “Fiore d’Italia” e nel ‘500 nel Sannazzaro (DEI)

panciòlle (in), loc.avv.tosc.: “con la pancia all’aria”: DISC, se. cui giustam. deriva in modo scherzoso da “pancia” col suff. “-olle”, “proprio di alcuni toponimi” (Id.) e idronimi tosc. (si pensi, per es., al torrente Terzolle presso Firenze). Dalla posizione accennata si spiega il conseguente passaggio al sign. di “in ozio”, al quale accenna anche M.P.Bini, ma non è certo da annoverare fra le parole che vanno scomparendo come sembra ritenere tale autrice, per quanto sia attestato già nel ‘500 nell’Allori: DEI, secondo cui la loc. potrebbe derivare dallo stare nel proprio podere di Panciolle, nome “fittizio e burlesco”. Si tratta di un’espress. passata come altre nell’it. ufficiale, ma “panciolle” è, come sosteneva P.Fanfani, “voce prètta fiorentina”

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palettóne (peraltro meno usato anche a Fucecchio del termine it.), s.m.: mestolone (“Anas clypeata”) a causa del “grosso becco a forma di spatola” (C.Romanelli)

palle di gatto, s.f.pl. seguito dal compl. di specific. significando alla lettera per l’aspetto “testicoli di gatto”, ma è un t. agricolo indicante una “qualità d’uva dai chicchi grossi, coltivata nel Pisano” (DEI), uva nera di “qualità scadente” secondo L.Briganti

pallétio, s.m.: tremolìo delle membra del corpo, cioè parletico (in cortonese “palléteco”), che deriva dal lat. “paralyticu(m)”, cioè affetto da “paralisi” (DEI).

Evidentemente nel t. del nostro vernacolo, oltre al dileguo della – c – intervoc., si è verificato il raddoppiam. per assimil. della –l- per semplificare. Comunque l’espress. “Avé’ ‘r palletio” significa “non stare mai fermo”, anche  se propr. significherebbe “avere un continuo tremolìo delle mani” a causa  di una malattia”

pallette, s.f.pl.: forma particolare di polenta di cui veniva fatto ampio uso a Fucecchio specialmente un tempo, tant’è vero che c’era una nota persona soprannominata “Pallette”. Inoltre vicino a Fucecchio erano intese in tal modo, secondo la testimonianza di I.Montanelli, “specie di frittelle di farina di granturco”, mentre a Fucecchio, notava P. Palavisini,  dalle contadine venivano vendute direttamente le rape “a pallette”

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paiòla, s.f.: corda, la quale passava sotto la gola del bue che lavorava (M. Catastini), ma un t. senza dubbio in disuso

paiòlo, s.m. che assume un significato molto particolare nella frase in disuso: “Oramai son paioli”: ormai la faccenda è conclusa; molto volg. anche se ha un valore metaforico è l’espress.: “Gli ha fatto un culo come un paiolo!”: l’ha fregato in un modo lampante, l’ha trattato tanto male! Si tratta di un sost. che si presta a certe similitudini proprio per la sua forma part., anche se si tratta di un recipiente che sta scomparendo: si pensi alla frase: “M’ha fatto una testa come un paiolo!”: mi ha riempito la testa a forza di chiacchiere: questo perché esso, per sua forma, dava o dà l’idea del gonfiore (L.Bezzini)

Palaia, topon. in provincia di Pisa, derivato dal lat. “palaria”= “vivaio di piantoni” (Diz.Topon.), quando viene detto: “Meglio, Palaia!” si tratterebbe, secondo L.Bezzini, di un “personaggio immaginario, forse originario” di tale località! Comunque l’esclam. ironica in questo caso (mentre non lo è quando viene detto al contrario “Peggio, Palaia!” sta a indicare un male che si aggiunge a un altro, come dire “Di male in peggio!”, “ci mancava anche questa!”, se non si tratta semplicemente della “disapprovazione per una una bugia o un’esagerazione” a cui accenna lo stesso autore

palanca, s.f.: denaro, mentre prima indicava un “soldino di rame” (DEI). Più precisamente, secondo P. Fanfani, verso il 1863, Palaia indicava un “pezzo da cinque centesimi” e, secondo il De Mauro, al pl., nell’Italia settentr., indica “denaro”: uso passato anche da noi e non solo al pl. Si pensi infatti alla frase: “ ‘un ho neanche una palanca!”: sono completamente privo di denaro

 

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pagà’, v.tr.: pagare, dal lat. “pacare”= “pacificare”, poi “calmare (il creditore)” da “pax, pacis”= “pace”, ma nel 421 è già attestata la voce “pagare” (DEI). Part. pass. e nei tempi che si formano con questo: “pago”: pagato (almeno nel contado e nel passato). Da notare che a Fucecchio, fino a poco tempo fa c’era chi alla domanda: “E ora chi paga?” rispondeva : “il Gerusi!”: risposta che equivaleva a dire: “il solito fesso”, spesso coincidente con chi rispondeva in tal modo

paglia, s.f. con un significato particolare nel simpatico detto che possiamo sentir usare a Fucecchio anche nei nostri tempi: “O di paglia o di fieno basta che il corpo sia pieno”: l’importante è che uno mangi, indipendentemente dalla qualità del cibo. Anche per “proteggere la paglia dalla pioggia” (De Mauro) veniva fatto il pagliaio coprendolo in parte e per dire a un individuo che conduceva una vita fin troppo sedentaria veniva detto: “Sei come il passerotto: dal tetto al pagliaio”, così come oggi viene detto, in riferimento a un individuo che lavora proprio vicino a casa: “E’ uscio e bottega”

paglióso, s.m.: fiasco di vino perché “impagliato”: DEI, che lo considera un termine gergale. Comunque dalle nostre parti poteva essere usato questo t. talora, sia pure scherzosamente o, meglio ancora, ironicamente, come nella domanda: “Ti piace paglioso, eh?”: ti piace il vino, eh?, indicando “il contenente per il contenuto” e perciò usando quella figura retorica che si chiama metonimia

pago, s.m.: pagamento; i “Porta a pago” erano otto confratelli della Misericordia che a turno di quattro in quattro portavano a pagamento “la lettiga mortuaria nel trasporto dei defunti” (A. Chiti)

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pace, s.f. Modo di dire: “Portà’ (portare) il bon per la pace”: rappacificare o almeno tentare di fare pace ovviamente a fin di bene

padèlla, s.f.: “cacciatore facile a sbagliare il tiro”, voce del “gergo dei cacciatori toscani” (DEI), in collegamento col significato che ha il t. anche di “tiro mancato” e col v. spadellà’: spadellare, cioè mancare il tiro. Dal sost. è derivato lo stesso soprannome, molto probabilmente per scherzo, a una persona attualmente residente a Fucecchio

Padule di Fucecchio, topon. con metatesi toscana (da palude) che da noi indica la più vasta palude interna d’Italia col cratere fra i comuni di Larciano e Fucecchio, da cui, com’è noto, ha preso il nome

paga, s.f. con un significato particolare nella frase “Fare la paga”: “punire qualcuno” (R.Cardellicchio), ma tale accezione è venuta meno sia pur non da troppo tempo. L’usa anche I. Montanelli col significato di picchiare al tempo del fascismo pure nel Pisano; si tratta di un uso ironico, di un “valore antifrastico” in tal caso non in riferimento a una “competizione” (DISC), bensì a una di quelle che venivano chiamate “spedizioni punitive” contro nemici politici

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ottanta, s.m. nel caso dell’espressione “Bòtte dell’ottanta” (molto probabilmente per l’espressività della parola): tante bòtte, così come “Bòtte da orbi”, cioè “alla cieca” significando “cieco”  in lat. tardo “orbus”, mentre nel lat. classico significa “privo” (DISC): del resto, chi è cieco non è forse privo della vista?

ottopre, s.m.: ottobre, nel contado, ma da tempo in disuso, per quanto vi potesse avvenire lo scambio fra due lettere alfabetiche quali la –b- e la –p- essendo entrambe occlusive bilabiali, come abbiamo visto visto esaminando la loc. avv. “a bacìo”, derivata dal lat. “opacivu(m)”, dove però è avvenuta la trasformazione opposta

ovo, s.m. e ova, f. pl.: uovo e uova rispettivamente, forme entrambe toscane. Modi di dire: “Che ci fai l’ovo?”: quanto ci stai costì? ovvero quanto bisogna stare ancora ad aspettarti? Ed anche: “Che ci vo a fa’ l’ovo?”: che ci vado a fare? L’uovo forse? nel senso che non devo certo star molto lì. Altro modo di dire diffuso da noi: “E ‘un fa ova!”: non fa uova, cioè non rende, appunto come la gallina che non fa le uova

ovvìa! esclam. tipicamente tosc.: suvvìa!

 

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orecchio, s.m. Frase usata anche a Firenze verso il 1863 (P.Fanfani): “Mi fischian gli orecchi” quando sta arrivando la persona di cui si sta parlando, così come “Aver gli orecchi lunghi” significava anche allora “sentirci bene da molta distanza” (Id.)

oreżżo (a), loc.avv. “sinonimica” cfr. di “abbacìo” e invece dal significato opposto rispetto a un’altra pisana e anche fucecchiese e cioè “a biscóndola”: all’ombra

orfanatrofio, s.m.: orfanotrofio, con assimilazione della -o- alla –a- precedente

oro, s.m. Frase: “mi ci fò d’oro!”: ci godo, mi ci delizio, e la frase iperbolica “Non lo farei per tutto l’oro del mondo” significa che non faremmo una certa cosa neppure se fossimo ricompensati molto  lautamente

orto, s.m. usato antifrasticamente, cioè ironicamente, nell’espress. “via dell’orto” per indicare un viaggio lungo, mentre è molto breve la strada per arrivare all’orto di casa. La frase in vernacolo è per lo più: “Tanto è la via dell’orto, guà!” cioè guarda! appunto per indicare un viaggio tutt’altro che breve o, parlando più un generale, che non si tratta di “una cosa facile né semplice” (R.Cantagalli). A Fucecchio era usato qualche tempo fa un toponimo peggiorativo di orti, cioè “Ortacci”, per indicare l’attuale Piazza Amendola

orzo (per), loc. avv. scomparsa: “di fianco” (M. Catastini), per es., dopo “Mettiti”

 

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