La maremmana

di Maresco Martini

montautoNon andiamo quasi mai a camminare con i gruppi, essendo io e mia moglie due appassionati camminatori, molte volte, si guarda al mattino il cielo: sa andà? Io penso dove andare, lei prepara tutto l’occorrente appena pronti si parte per un cammino.

Ma quella volta attirato dai ricordi decidemmo di associarci al Giglio per percorrere la Maremmana, il sentiero che portava a Castelfiorentino da Montaione attraverso l’alto Orlo la Maremmana Bramasole, Montauto, i Praticelli. Si parte da casa con un progetto: si lascia l’auto in cima ai Rimorti,poi si và a Castelfiorentino a piedi, poi con il Giglio si arriva a Montaione, noi poi si ritorna camminando da Santo Stefano.

Si parte camminando dalla zona sportiva, ma dopo il semaforo della circonvallazione, vanno per via Pantano: O questa? Dico, va bene mi rispondono, saliamo alla Torribina e poi a Montauto, ma la Maremmana saliva dritta ad ovest di Montauto. Non seppero rispondermi, poi vidi che uno dei pezzi più belli e panoramici se li era ingollati la cava della fornace un km di sentiero non esiste più ingoiato dalla cava della fornace, Realtà e ricordi cozzano, forse è meglio tenere i ricordi…… Nel sentiero dietro Montauto ho visto passare tanta gente specie il Sabato, passavano le contadine col paniere dei polli da vendere al mercato, col capo fuori, molte un paniere per braccio. Noi stessi, da Montauto si scendeva in – castello- dal sentiero. Dopo il 1949 cominciarono a passare i primi siciliani tornati in Bramasole con le loro giacche di velluto, passavano dando il buongiorno, -noi al mattino al massimo ci davavamo del – o brodo!. E noi ragazzi ci – divertiva: gnamo! Si và a dà ‘i bongiorno ai siciliani che passano……

Io ho raccontato, dopo Montauto della ginestra sul poggio dello Squilleri che era lì da secoli ma che alla prima aratura di trattori è essiccata c’era una leggenda che vi pascolasse le pecore Santa Verdiana, io ho visto donne girarsi in sù e segnarsi, ho visto la ginestra già seccata da un anno- ora non c’è più neanche il poggio e quasi spianato dalle arature dei trattori.

Poi la casetta del ciottolo, non ho mai saputo come si chiamassero erano marito, moglie e figlio. Li chiamavano: il ciottolo, la ciottola e il figlio il ciottolino, passavano in fila indiana con quella andatura – a ginocchi in avanti, il figlio chiudeva la fila……

Arrivati alla Maremmana uno del Giglio che diceva spesso fra poco arriva Rino…

E giunti in Orlo arrivò fra l’erba alta e i rovi Rino Salvestrini è arrivato e conoscendolo ho potuto sapere di che spessore era: Ci ha spiegato l’alto Orlo, i mulini a maltempo,indicato i ruderi, la modernità di questi mulini, mi ha donato alcune sue pubblicazioni che io e Chiara mia moglie ci siamo buttati a capofitto sui suoi libri, purtroppo dopo quel giorno non l’ho più incontrato personalmente . Risaliti in Montaione abbiamo fatto sosta pranzo ai Mandorli, poi salutati gli altri partecipanti Giù in cammino per ritornare a Castelfiorentino da Santo Stefano zona che Chiara adora per la bellezza dei piaggioni, io anche per i ricordi. Giunti alla strada di Ceciaia siamo saliti su quel poggio- magico per mè, mi siedo e chiudo gli occhi e mi ritornano alla mente voci e cose daltri tempi…..-vai gina, vai al solco, mettimi i segni che semino, fa burrasca c’è da ammontià il fieno….- Li riapro e sento silenzio e vedo un rudere giù a mezza costa… Ma i piaggioni sono sempre lì ancora belli nella primavera. Da lì vedo il mio mondo: i piaggioni dove in gioventù ho lavorato e dove mi hanno incantato. Scesi in diretta verso la via d’Orlo e risalito il breve tratto di salita e l’auto che ci aspetta……

Rino Pelleg

E un importa andà all’estero pe’ trovà i posti belli. Ecisanno anche noi. Anzi, più belli.

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