Il Toscanario

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di Giancarlo Carmignani

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luccїà’, v.intr.: risplendere, significato di luccicare nell’italiano corretto e la forma vernacolare esaminata in questa sede si trova anche in pis., così come vi si trova ed anche in livorn. (V.Marchi) il termine “luccióni”: lucciconi (s.m.pl.) cioè “grosse lacrime”, attestato anche nel 1875 (DEI), ma l’origine di certe parole si perde davvero nella notte dei tempi!

luchìe, s.f.pl.: faville, ma il termine è scomparso, mentre è rimasto in ital. (l’ha usato anche il Lippi nel ‘600) quello di “monachine” per indicare le “faville della legna o della carta che arde” (DISC) per la somiglianza delle stesse “a tante monache che s’affrettano per i corridoi o nel dormitorio, ognuna con il suo lume in mano” (DEI): immagine non certo priva di poesia, a conferma di quanto possono essere preziose certe osservazioni e considerazioni presenti anche nei diversi dizionari

lucio, s.m.: tacchino; si tratta di una voce che almeno fino a qualche tempo fa era usata in diverse parti della Toscana a causa del “richiamo fonosimbolico luci, luci” (DEI). Il femminile è ovviamente “lùcia”. A un poveraccio accusato di aver rubato una volta una tacchina, specialmente se veniva còlto con una balla in mano, veniva detto a Fucecchio per farlo adirare (ma noi diciamo in modo più corposo e perciò espressivo “arrabbiare”) “Posa la lùcia!”, divenuto un soprannome

luerino, s.m.: lucherino (“Carduelis spinus”: C. Romanelli), peraltro meno usata del corrispondente termine italiano, è una forma chiaramente contratta

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Il prossimo appuntamento con questa rubrica è previsto per il giorno 17 dicembre 2019

 

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