Il Toscanario

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di Giancarlo Carmignani

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méne, pron. ant.tosc. risalente al ‘300 (DEI): me, ormai scomparso o quasi anche dal contado da cui proviene questa forma allungata, epitetica possiamo dire, con un linguaggio più dotto

Mènga, s.m.: nome di persona indeterminata probabilmente inventato per fare la rima in un proverbio diuna legge triviale definita “universale” (e purtroppo è vero) da C. Lapucci che ha definito “filosofo” chi l’ha formulata: “Questa è la legge del Menga: chi l’ha in culo se lo tenga!”: chi l’ha preso in tasca, cioè è stato fregato, si rassegni a sopportare ciò, pur essendo cosa dura, vale a dire difficile a sopportarsi.

Una versione meno volg. della stessa …legge, ma con un invito metaforico a non farsi ingannare, si trova in questo detto:

“Pazienza e cenci,

chi ce l’ha [sottinteso “preso”] ci stia

e chi ‘un ce l’ha

‘un c’entri”

ménno, agg.: “manchevole” (nel Trecento: DEI, secondo il quale deriverebbe dal lat. ipotetico. “minus”), ma nell’espress. fucecchiese “rimané’ menno” significa restare “senza soldi” (M. Catastini)

meno, avv. che figura, per es., nel proverbio contadino “In meno si sta a tavola e più si mangia”: quanti meno siamo a tavola, tanto più possiamo mangiare, essendoci più cibo a disposizione, s’intende. “Meno” è usato anche nel linguaggio sportivo o ludico, come nella frase: “Ma che si gioa alla meno?”: ma che giochiamo a chi fa meno punti, a chi gioca peggio o comunque per perdere?

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Il prossimo appuntamento con questa rubrica è previsto per il giorno 12 maggio 2020

 

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