Il Toscanario

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di Giancarlo Carmignani

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mia, pron.pl.f. dopo l’art. : le: le mie (sott. “cose”), ma diventa agg. se “cose” è espresso, ciò che avviene prima dello stesso, come nella frase, ancora oggi riscontrabile in part. in campagna: “Son coe mia!”: son cose mie! Talora si può anche dire almeno in campagna anche “i mia”: i miei: chiaro l’influsso pisano, dove “mia” può significare sia miei sia mie (B. Gianetti). Si pensi anche alla frase: “ ’un son mi’a mia”: non sono mica miei

mi’a, avv.: mica, cioè “affatto, per nulla”, derivato dal lat. “mica(m)”= “briciola”, il cui uso negativo “si può già intravedere” nello scrittore lat. Petronio (DELI: “non micam panis”= non una briciola di pane)

micchite, s.f.: attrazione sessuale, che penso possa derivare dall’accezione romanesca di “micco” come  “uomo lussurioso” (a questo accenna il DEI), non perciò dal significato di “grullo” che può avere “micco” da noi né, almeno direttamente, dalla scimmia brasiliana (“Cebus robustus”) con tale nome popolare                                                                                                           

miccino (a), loc. avv., attestata già nel ‘300 nel Bencivenni: consumare poco alla volta, dopo il v. “fare”. Deriva dal lat. tardo “micina” (= “un pezzetto”), dimin. di “mica”=“briciola” (DEI e ved.  “mi’a”). Quanto al rafforzamento di –c-, può essere dovuto a “ipercorrettissimo di fronte ad un presunto scempiamento” d’origine settentrionale, come afferma il DISC in riferimento a “micca”, voce milanese che significa “pane” secondo il DEI

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Il prossimo appuntamento con questa rubrica è previsto per il giorno 23 giugno 2020

 

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