di Giancarlo Carmignani
lallo, s.m. tosc. usato in particolare anche in pis. e lucch.: “cavallo”; voce del “linguaggio infantile” (DEI) e anche per questo onomatopeica, ma formata con l’aferesi della prima sillaba della nota parola e l’assimilazione della lettera iniziale così risultante alle consonanti seguenti
Lammari, toponimo toscano nel contado lucchese usato da noi nell’espressione “Ma che se’ di Lammari?” per indicare una persona non certo raffinata; però che c’è anche chi, in polemica con i fucecchiesi, dice: “Ma che siete di Fucecchio?”. Però “Andare a Lammari” significava anche “andare lontano” un tempo, quando le distanze apparivano ovviamente molto maggiori che nei nostri tempi non essendoci certo i mezzi di trasporto di oggi
lana, s.f. con un significato particolare se viene detto “Figlio di buona lana!”: figlio di buona donna, ma molto spesso in senso ironico e perciò in riferimento a chi ha un’indole non giudicata affatto in modo favorevole. Si tratta peraltro di un’espressione in netto declino almeno da noi e non certo di uso proprio popolare
lappola, s.f.: pelo delle palpebre, ciglio; voce toscana (DEI), da noi molto usata
lassà’, v.tr.: lasciare, ma “lassare” era anche una forma antica, del resto conforme all’origine dal latino “laxare”, propriamente “allentare” (DISC). Comunque, se è ancora usato, lo è nel contado, molto probabilmente per influsso pisano, come si può dedurre da P. Fanfani.
Quanto al pass. rem., 3a pers. pl. del v. “lasciare” in pisno si poteva sentir dire “lasciorno” e in fucecchiese “lascionno” al posto di “lasciarono”, ma neppure su queste terminazioni insisterò oltre, avendo accennato alla desinenza “- ònno” al posto di “-arono” nell’introduzione
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