di Giancarlo Carmignani
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gnéne, “forma” pronominale formata dall’unione delle due particelle pronominali “gli” e “ne” con l’inserimento della vocale – e – nell’italiano corretto: gliene, mentre in “gnene”, che si trova anche in pis. e in livorn. ed era detto anche a Firenze verso la metà dell’Ottocento (P. Fanfani), si è verificata una forma di assimilazione alla particella finale
gniente!, esclam. con valore negativo: niente! Oggi viene detta dalle nostre parti in questo modo, quasi sempre nelle risposte, come negazione inizialmente rafforzata con il digramma gn- per lo più scherzosamente, ma può darsi che venisse usato un tempo, come in pis. e livorn., senza implicare il punto esclamativo nell’intonazione della voce
gnòccà’, v.tr.: gnoccare, cioè arrabbiare, più precisamente adirare e, nella forma rifl., “gnoccassi”: adirarsi, “inquietarsi” (M. Catastini). Deriva dal tosc. (e umbro) “gnocco”: “rabbia, stizza” (DEI)
gnudo, agg.: ignudo ovvero, ancor più semplicemente, nudo, ma forma “popolare” toscana usata “anche da Dante”, per aferesi, secondo il DEI, di ignudo, a mio parere, più pregnante, più espressivo di “nudo”. Si tenga presente la frase: “O che ha’ paura della gatta gnuda?”, rivolta ironicamente a chi dimostra di avere una paura senza fondamento essendo una sciocchezza credere in una cosa inesistente come una gatta nuda (salvo poche eccezioni), deduco anche da S. Rosi Galli
gòbbo, s.m. con un significato particolare nell’espressione “ Far da gobbo”: far finta di non sapere, oltre che nel proverbio “Nasce un gobbo e va diritto”: c’è tanto tempo! Si tenga presente che sia dalle nostre parti sia in pis. viene chiamato gobbo nel gioco delle carte il “fante” a causa della “forma tozza della figura”(DEI)
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