di Giancarlo Carmignani
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gocciolà’, v. per lo più intr.: gocciolare. Era tale un tempo la miseria a Fucecchio che c’era la “nenia”:
“guarda che tempo
fa gocciolà’ i tetti:
dalla miseria i calzolai
impegnano i bischetti”,
cioè i loro banchetti da lavoro.
Un’ulteriore conferma di quanta miseria ci fosse un tempo a Fucecchio è data dal fatto che vi era diffuso il motto: “L’arte della sacchetta”, cioè del mendicare, “è l’arte benedetta” perché rendeva molto: Leandra Briganti, la quale è arrivata a scrivere che c’era una miseria “da tagliarsi col coltello”, espressione oggi usata in riferimento alla nebbia e non più in riferimento alla miseria
gòdé’(anche in livorn.) v. intr., ma anche tr.: godére, pronuncia giusta perché il verbo deriva dal latino “gaudère”, ma sia da noi sia in pis. c’è chi dice (o, meglio, c’era chi diceva) “gòdere” probabilmente per “metaplasmo” (DEI)
godìo, s.m.: “godimento”, “vivo nel tosc.” e specialmente nel pistoiese: DEI, che cita con lo stesso significato un antico sostantivo toscano, attestato nel ‘300: gòdo, ma anziché da questo deriva da “godere” il termine “godona”, sentito dire a Fucecchio col significato di giovane donna che ama godere
gòdi gòdi, s.m.: godimento accentuato, come denota la ripetizione di quello che propriamente sarebbe la 2^ pers. sing. del pres. imperativo del v. godere; si tratta di una forma presente anche in livorn. (V. Marchi). Però se viene detto “casa del godi godi” significa casa ricca
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