Il cinema ritrovato: Salò o le 120 giornate di Sodoma

Sabato 7 ore 21,15, Domenica 8 novembre ore 17,30
Cinema Teatro Scipione Ammirato Piazza Gramsci , Montaione

Salò o le 120 giornate di Sodoma
(Italia/1975, 116’) edizione restaurata da Cineteca di Bologna e CSC
Cineteca Nazionale

LEONE PER MIGLIOR FILM RESTAURATO
ALLA 72ª MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

Nel quarantennale della morte di Pasolini, in versione integrale e restaurata, il suo ultimo film, capolavoro sulfureo e maledetto che ancora oggi mantiene intatto il suo carattere enigmatico di opera concepita come un “mistero medioevale”.
Liberamente ispirato al romanzo incompiuto del Marchese de Sade e ambientato negli anni della Repubblica sociale, Salò è l’inferno secondo Pasolini: un universo concentrazionario dove, al chiuso di una villa, otto ragazzi e otto ragazze, scelti per la loro avvenenza, diventano gli oggetti delle perversioni di quattro Signori in una raffigurazione visionaria e allucinata della
degenerazione del Potere. Distribuito subito dopo l’assassinio di Pasolini, Salò fu sequestrato e successivamente dissequestrato dopo l’imposizione di tagli da parte della censura. Quattro Signori (il Duca, il Monsignore, Sua Eccellenza e il Presidente) al tempo della Repubblica Sociale di Salò si riuniscono in una villa assieme a 4 ex prostitute ormai non più giovani insieme a un gruppo di giovani maschi e femmine catturati con rastrellamenti dopo lunghi appostamenti. Nella villa i Signori per 120 giorni potranno assegnare loro dei ruoli e disporre, secondo un regolamento da essi stessi stilato, in modo assolutamente insindacabile dei loro corpi. La struttura del film è divisa in 4 parti: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue. Dopo la “Trilogia della vita” (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte) Pasolini sente la necessità di affrontare una opposta e tragica lettura dell’uso della sessualità. Questa volta (grazie all’opera del marchese De Sade che offre l’idea di base) è il Potere di ogni tempo e non solo quello fascista ad essere chiamato in causa e condannato. “Ora tutto si è rovesciato. Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo: anche la “realtà” dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana. Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subìto il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasie sessuali era dolore e gioia, è diventato suicida delusione, informe accidia”. Così si esprimeva il regista in un suo testo del 1975 pubblicato postumo. Rilette oggi queste sue parole assumono un valore non solo chiarificatore sugli intenti di un film che cerca lo scandalo e insiste sui particolari più turpi senza mai compiacersene ma con lo scopo dichiarato di provocare una reazione morale alla presunta immoralità della sua opera. Reazione che purtroppo ci fu ma scomposta e mirante a far scomparire per sempre l’opera dalle sale.
Proiettato a Parigi per la prima volta a 20 giorni dall’uccisione del suo autore il film subì sequestri e dissequestri ma la sua libera circolazione fu sancita solo dieci anni dopo. Il degrado delle mura entro il cui perimetro si svolgono le azioni ci mostra, grazie al mirabile apporto di Dante Ferretti, non solo i segni lasciati dal tempo sull’edificio ma quelli, ben più significativi, di un disfacimento a cui sembra impossibile porre rimedio. Quello di Pasolini si propone così ancora una volta come un grido di allarme questa volta quasi totalmente disperato (se si esclude il finale scelto tra 4 possibili). La mercificazione dei corpi e del sesso sarebbe divenuta, negli anni successivi, sempre più invasiva sotto le mentite spoglie di una apparente libertà. Da parte di alcuni si è voluto leggere il film come una sorta di testamento di Pasolini alla ricerca della morte ma si tratta di fatto di una lettura a posteriori e non necessaria per comprenderne la forza dirompente di un Requiem per una
civiltà che ormai non è più tale.

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