Il Toscanario

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di Giancarlo Carmignani

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pesciaio, s.m.: pescivéndolo (DISC) e non “pescivèndolo” come viene detto a Fucecchio, dato che “véndere” vi viene pronunciato “vèndere” alla pisana

pescio, s.m.: pesce, anche in pis., livorn. e lucch.; residuo di un nome antico, essendo già attestato nel 1282 in Ristoro d’Arezzo (DEI)

pèsco, s.m.in senso volg., come nell’espress. “Scote’ ‘r pesco”: scuotere, agitare il membro virile, come avviene nella masturbazione

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pertìa, s.f.: “timone dell’aratro” (M.Catastini), ma tale t. ed attrezzo non risultano più usati neppure nelle nostre campagne

pèsca, s.f. con un signific. part. nel modo di dire molto diffuso: “Ha fatto un giro pèsca!”: ha fatto un giro tortuoso, per es., di parole, almeno talora per un “affare poco chiaro, non troppo corretto”, come afferma più in generale R. Cantagalli, e può senza dubbio interessare l’origine della parola del frutto dal lat. “persica”, neutro pl. di “persicum” =  “(frutto) della Persia” (DISC), tant’è vero che in Campania viene chiamata “persica”

pésce, s.m. Modo di dire che si trova in sostanza anche nella 3^ novella della decima giornata del “Decameron” del Boccaccio: “È sano come un pesce”, mentre a Firenze verso il 1863 veniva detto “come una lasca”, che pure è un pesce, ma particolare, ritenuto dal popolo “simbolo di sanità” appunto (P.Fanfani).

Si tratta comunque di modi di dire che non hanno fondamento scientifico (G. Pittàno), nati come altri dalla fantasia

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perìolo, s.m.: pericolo. Modo di dire diffuso da noi: “ ‘Un c’è periolo!”: non c’è pericolo, ma per dire nient’affatto!

perióra, loc. avv.: per ora, nella contado verso Stieta o comunque tra Fucecchio e Santa Croce sull’Arno, per influenza di quest’ultima località, che sembra abbia influito sulla tendenza pianeggiante della nostra parlata. Però l’epentesi della –i- non ha ancora una spiegazione adeguata, a meno che non si tratti di una forma singolare di dittongazione

per ride’ (è)!, interiez.usata nelle risposte non sempre favorevoli: espressione usata anche a Fuc. con un tono alla pis. o alla livorn., così come in “Sa, è di nulla!” per dire che è sensazionale, come quando diciamo: “Ha’ detto pio!”: hai detto niente!, oppure a Livorno dicono: “Ha’ detto un bao, déh!”

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perde’, v. intr. quando perdere significa “cessare di possedere un bene”, ma tr. quando è seguito, per es, da “dei córpi”, cioè dei colpi: essere in regresso o, meglio ancora, “peggiorare le proprie prestazioni”, derivando dalle irregolarità nel ciclo del “motore a scoppio” (DISC). Altro modo di dire: “Perde’ messo e mandato”: perdere “tutto” (M.Catastini), venendo meno in senso metaforico sia l’ambasciatore sia (in senso popolano) l’ambasciata o “imbasciata”, come viene detto appunto in tal senso, cioè come “comunicazione personale che una persona ha l’incarico di riferire a un’altra”: voce “centro meridionale” che giustamente il De Mauro considera var. di “ambasciata” e che era diffusa anche da noi, oltre che essere attestata sia dal Duecento (DEI) 

perdie, interiez. eufemistica, sia pur volg., per non nominare il nome di Dio invano: perdinci, ciò che vale anche per l’escl. “Permio!”. Si tratta di “maniere usate per iscansare il per Dio”, sosteneva giustamente P.Fanfani che, a proposito di quest’ultima interiez., affermava che “quando è di sdegno rasenta la bestemmia”

perèllo, s.m.: atto di cominciare, attestato peraltro solo in una frase (forse non solo nel contado) del tipo: “Siamo” (se non “sémo”) “sempre al perèllo”: non abbiamo ancora proprio cominciato oppure siamo ancora all’inizio (M.Catastini), ma in disuso

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pepa, s.f.: giovane o comunque donna di vivacità tale da rasentare l’indiscrezione (donde forse anche un soprannome fucecch.) o addirittura “impertinente”, come nel dimin. di “pepe” “pepino” (DEI), mentre “pepina” può esser definita una giovane “tutto pepe” per la gran vivacità

per, prep. pronunziata talora con l’apocope in parte come in fiorent. e come nel caso del proverbio non veritiero (come abbiamo visto non sempre lo sono i proverbi!): “pe’ ‘r capretto e pe’ l’agnello ‘un s’adopra ir cortello”, ma non è vero che per uccidere il capretto e l’agnello non si adopera il coltello; infatti queste povere bestiole vengono sgozzate ricorrendo a tale strumento

péra, s.f. Nel contado fucecch. viene detto ancora da taluni al plurale “le pera”, forse risentendo, sia pure senza saperlo, dell’influsso del pl. neutro lat., in cui la desinenza –a abbondava

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