di Giancarlo Carmignani
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capibigia, s.f.: capinera (“Sylvia atricapilla”), ma il lemma capibigia viene o veniva usato a Fucecchio (per quanto meno del corrispondente termine italiano) in riferimento alla femmina forse perché “ritenuta specie” a sé stante – s’intende – per la “colorazione del capo”, non nera come quella del “capo nel maschio adulto”, appunto, della capinera, secondo C. Romanelli
capitello, s.m. e, siccome in piazza Montanelli, a Fucecchio, stava ai capitelli chi non era al lavoro, l’espressione “Regge’ i capitelli” stava a indicare chi non lavorava
capo, s.m. con l’aggiunta dell’ agg. amèno, ma pronunciato dalle nostre parti anche attaccato come se fosse da scrivere capamèno: persona che non dà affidamento avendo idee “un po’ strane” (P. Fanfani); ha acquistato insomma un’ accezione sfavorevole che originariamente l’agg. “ameno” non aveva certo, essendo collegato con la “famiglia” di “amare” (Devoto)
capoccia, s.m.: “Capo di casa nelle famiglie di contadini toscani” (DEI), ma, in seguito al venir meno della mezzadria, anche questo termine “sta scomparendo dal linguaggio comune” (M.P. Bini), anzi è già scomparso almeno in tal senso
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