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peorite, s.f.: pleurite, di cui era una deformazione un tempo riscontrabile in campagna, dove “pèora” (cioè pecora) era ed è un termine ben più familiare di pleura, deriv. dal gr. “pleurà” =  “fianco” (DISC) e perciò più difficile anche come nome del precedente considerato. Altrove si poteva sentir dire “pecorite”, in cui il collegamento con “pecora” era ancora più chiaro

pèoro, s.m. presente anche in pis.: pecoro, che significa “montone” (De Mauro) e perciò passa a significare cornuto: “uomo tradito dalla moglie o dalla fidanzata” (C.Giani). Quanto al t. “cornuto” deriva dall’espress. “fare le corna” (da noi ’orna) e questa –pare- dalla “diffusa e secolare pratica giuridica di imporre le corna al marito che si faceva lenone della propria moglie”, con “originaria allusività fallica del corno” e quindi, penso, col riferimento al fallo del marito e a quello dell’amante. Infatti le corna sono come un “elemento iconografico” e possiamo pensare al “simbolo dei due membri che avevano soddisfatto la moglie” (O. Luriati)

peorone, s.m.: pecorone, cioè individuo senza personalità perché segue passivamente la “corrente”, cioè quello che fanno gli altri in un modo conformista ovvero pedissequo che non suscita certo simpatia!

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pènera, s.f.: specie di cappio per catturare gli uccelli, che purtroppo venivano strozzati a causa di questo laccio. Si tratta di un t. venatorio non usato solo a Fucecchio (per es. si trovava anche a Pomarance, nel Pisano) e può darsi che derivasse da “pènero”, sfilacciatura nella tessitura e nella maglierìa, t. che veniva usato anche nella lavorazione a casa, a Prato, una quarantina d’anni fa. Da noi veniva usato il t. “penero” in rifer. a capi d’abbigliamento tutt’altro che precisi in un’espress. tipo: “Gaó che peneri!”: guarda oh, che sfilacciature presenta codesto vestito!

penerone, s.m.: “sfaticato” (M.Catastini), vagabondo, ma è un t. scomparso dall’uso –pare- derivato dal tenditore che, come succedeva presso Castagneto Carducci, “scorreva lungo i sentieri dove erano tese le pènere per staccare la selvaggina presa” (L.Bezzini). Si trattava però di un tipo di caccia giustamente condannato da tempo come una forma di bracconaggio, essendo atroce la morte che veniva inferta ai poveri uccellini

pennicellina, s.f.: penicillina (di cui è un’alterazione, per non dir corruzione, pop. dalle nostre parti), derivando il n. di tale antibiotico da quello della muffa “Penicillium notatum”, t. a sua volta derivato dal “penicillus” = “pennello” per “l’aspetto filamentoso” (De Mauro) della stessa

péntola, s.f. con un signific. partic. nell’esclam. vernacolare ormai in disuso “Che pentola!”: che “catarro gorgogliante” (M.Catastini)! ovvero come si sente rumoreggiare cupamente il catarro!

 

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pélo, s.m. con un significato part. nell’espress. “M’ha fatto ‘r pelo”: m’ha sfiorato” (con l’automobile). È da ricordare anche l’espress. “di primo pelo”: alle prime armi, alle prime esperienze. Invece significa “verso” nel modo di dire “Prende’ per il su’ pelo”: prendere per il verso giusto, nel senso di assecondare una persona o almeno trattarla in modo adeguato. Altri modi di dire: “Liscià’ ‘r pelo d’uno”: lusingarlo; “Cavalcare a pelo”: “cavalcare sul pelo del cavallo, senza sella, com’è abitudine, ad esempio al Palio di Siena” (L.Bezzini). Ha un significato chiaramente metaforico il pl. “peli” nella frase: “ ’Un avé’ peli sulla lingua”: parlare senza timori né reticenze. Non mi pare certo collegata col significato di questa frae l’espress. “gola pelosa”, che, sec. M.Catastini, significherebbe in fucecch. “ghiottone”, ma che non ho mai sentito dire, a differenza della frase, in sostanza riportata anche da P.Fanfani: “Ti lustra ‘r pelo”: stai proprio bene, fresco e grassoccio come sei!

pelo (a), loc. avv.: a stento, per poco

penà’, v.intr.: soffrire, ma penare acquista un significato diverso nella frase “fam. tosc.” (DISC) “Pena po’o!” (più diffusa nell’area fiorent., in partic. a Castelfiorentino, che a Fucecchio, dove è piuttosto rara): fa’ alla svelta! sbrìgati!

pendioni, avv.: “penzoloni” (M.Catastini). Pur essendo formato da “pendìo” con il suff. “-oni”, usato per formare appunto “avverbi indicanti una posizione del corpo” oppure, in altri casi, un modo di camminare, non ho mai sentito usare tale avverbio

 

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pellaio, s.m. Modo di dire: “Trattà’ come un pellaio”: trattare male, probabilm. a causa dell’attività dura e non certo raffinata di chi lavora la pelle. Dalle nostre parti è detto spesso al pl., risentendo dello spirito campanilistico di una volta (che portava anche a lotte cruente, purtroppo, specialmente durante il Medioevo) in rifer. ai santacrocesi, ma risale all’Ottocento, ma a S.Croce sull’Arno, quell’attività conciaria che ha fatto diventare il Comune più vicino al nostro uno dei maggiori centri di produzione di cuoio e di pelli al mondo 

pellegrino, s.m.: falco pellegrino (“Falco peregrinus”), detto così perché “forse questo falco compie ampi spostamenti in cerca del cibo” (C.Romanelli)

pelliccia, s.f.: “zolla di terra erbosa, piota” (DEI). È una voce pis. e lucch. usata anche dalle nostre parti, dove ho sentito usare pelliccia anche nel senso di parte pelosa compatta del corpo della donna, ma in tono scherzoso. Invece un tempo, al posto di pelliccia nel senso di fetta di “terra con erba”,  veniva usato il t. “piallaccio” (cui accenna M.P.Bini) anche a Fucecch., dove esso mi risulta scomparso

pelliccióne, s.m.: paura, ma se viene detto: “se ‘un la fa’ finita, ti dò (in pis. direbbero invece “dó”) un pelliccione”, significa una bòtta

 

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peggiorà’, v. intr. nel nostro caso, cioè in rifer. al tempo: peggiorare. Indic. pres., 3^ pers. sing. “Pèggiora”: peggióra, come bisogna dire in it., derivando tale v. dall’agg. lat. “periore(m)”, mentre a Fucecchio appunto ancor oggi c’è chi sbaglia la pronuncia dicendo, come abbiamo visto, “pèggiora”, così come quando dice “mègliora” anziché, in modo corretto, “miglióra”

pela, s.m. usato solo nell’espress. “È tutto un pela pela”: è tutto un tentativo di carpire denaro

pelà’, v.tr.: levare i peli. Modo di dire: “E pela!” in rifer. al freddo che per la sua intensità sembra lavare i peli dal viso, se non addirittura quasi togliere uno “strato” della pelle, com’è affermato nel DISC, sottintendendo in tal caso in particolare “del viso”. Al v. “pelare” possiamo dare, nel caso del modo di dire visto, il significato di “tirare” (quale si trova nell’ “Arcadia” del Sannazaro) se ci riferiamo al vento freddo che appunto tira o, meglio ancora, come troviamo nel De Mauro, al fatto che esso determina sulla pelle un’ “intensa sensazione di freddo”. Invece “pelare” significa “sfruttare” nel caso del proverbio non certo raffinato e non diffuso neanche dalle nostre parti: “Il mondo è un pagliaio e chi non lo pela è un coglione”: proverbio che chiamerei immorale perché invita allo sfruttamento

pèlago, s.m.: “Mare aperto (DISC), ma nella topon. tosc. anche “bacino incassato (dell’Arno)” (DEI). È vero che talora può derivare dal lat. “pelagu(m)” nel senso secondario di “bożżo”, ma ritorna in un certo senso l’ètimo dal gr. “pèlagos” = “mare” (Diz.Topon.) nel modo di dire fucecch. “Esse’ ne’ pelaghi”: essere nei guai oppure in difficoltà come se si dicesse essere in un mare di guai

 

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